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La tutela penale del “made in Italy”

Lo Studio ha assistito il legale rappresentante di una società rinviato a giudizio per avere messo in circolazione prodotti con il marchio “made in Italy” che, secondo la ricostruzione della Procura, avevano subito al di fuori del territorio italiano l’ultima fase principale del processo produttivo. Al termine delle indagini svolte dalla Procura, iniziate a seguito di un sequestro operato dalla Polizia Giudiziaria in via d’urgenza, l’imputato è stato rinviato a giudizio per il reato previsto dall’art. 517 c.p. di vendita di prodotti con segni mendaci, punito con la pena della reclusione sino a due anni e la multa sino a € 21.000,00.

Del medesimo reato, oltre al legale rappresentante, è stata altresì imputata la società in ordine all’illecito amministrativo previsto dal D.lgs. 231/01, in quanto essa avrebbe omesso la predisposizione di modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di delitti contro l’industria, quale quello contestato.

Secondo la tesi dell’accusa, l’imputato avrebbe messo in circolazione merci di provenienza bulgara con impresso il marchio “made in Italy”, in tal modo inducendo il compratore in inganno sull’effettiva origine delle stesse.

Il Tribunale di Gorizia, all’esito del dibattimento, con sentenza depositata all’udienza del 23 gennaio 2015 ha assolto l’imputato, perché “il fatto non sussiste”.

Dall’istruttoria dibattimentale è infatti emerso che le merci subivano in Italia l’ultima lavorazione significativa, sicché non poteva considerarsi integrata la fattispecie contestata. Ed infatti ai sensi della normativa comunitaria le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi sono considerate originarie del Paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale. Inoltre, dall’esame dei testimoni, è altresì emerso che la dicitura “made in Italy”, nella fattispecie concreta, era inidonea a trarre in inganno i compratori, professionisti del settore ai quali era ben noto che solo una parte della lavorazione delle merci avveniva in Italia e che, in assenza di tale lavorazione, le merci sarebbero state inidonee all’uso cui erano destinate. Attesa quindi l’effettiva trasformazione in Italia, da un lato, e il difetto di attitudine ingannatoria, dall’altro, il Tribunale ha assolto l’imputato per i fatti ascrittigli.

(A cura dell’Ufficio di Trieste – Avv. Federica Fantuzzi [1] – 040 7600281)