Semplificazione normativa per i Paesi Black-List: risvolti per gli investimenti ad Hong Kong

Fra le importanti novità del pacchetto di misure contenute nello schema del decreto attuativo della delega fiscale promossa dal governo, il legislatore italiano ha deciso di intervenire anche sulla specifica normativa prevista per società che intrattengano rapporti commerciali con Paesi inseriti nella c.d. black list. Come noto, tale lista include Stati aventi particolari regimi fiscali in relazione ai quali, per contrastare frodi internazionali, è prevista una disciplina ad hoc.
A tale proposito, sulla base del decreto saranno semplificati gli adempimenti richiesti alle aziende operanti con tali Paesi: cambieranno i termini per la comunicazione delle operazioni intrattenute con Paesi definiti “paradisi fiscali”, che non avrà più cadenza mensile o trimestrale ma annuale e verrà elevata a 10.000 euro la soglia oltre la quale tale comunicazione sarà obbligatoria.
Uno degli aspetti più controversi della normativa riguardante la c.d. black list è da sempre la posizione di Hong Kong, il principale hub logistico e finanziario dell’estremo oriente che, anche alla luce del crescente ruolo della Cina a livello internazionale, si conferma una delle principali aree di investimento per le aziende Italiane.
Tale Regione Amministrativa Speciale (SAR) cinese, infatti, è inserita nelle black list previste dal nostro ordinamento (D.M. 4/4/99 – persone fisiche; D.M. 21/11/01 – società controllate estere; D.M. 23/01/02 – indeducibilità dei costi). Tuttavia segnali che la diffidenza verso la SAR cinese sia destinata a venir meno non sono mancati. La Convenzione stipulata con l’Italia il 14 gennaio 2013, almeno in linea di principio, consentirà di rafforzare le relazioni commerciali tra i due Paesi, eliminando gli ostacoli agli investimenti reciproci e garantendo maggiore certezza ai contribuenti. Le peculiari funzioni che la Convenzione si propone possono essere così sintetizzate:
• evitare la doppia imposizione dei redditi derivanti dai rapporti commerciali tra le due giurisdizioni;
• contribuire allo sviluppo di investimenti delle imprese nei mercati asiatici;
• contrastare l’evasione fiscale con un adeguato scambio di informazioni.
Sulla base dell’attuale riforma normativa, sarà più facile gestire le operazioni con tale importante centro finanziario e, sebbene il condizionale sia d’obbligo, con il citato accordo intergovernativo ci si può attendere una futura cancellazione di Hong Kong dalle predette black list, con conseguenze di rilievo in favore degli investitori italiani. Parimenti un impatto rilevante potrebbe verificarsi in relazione alle restrizioni ora in vigore previste dal Tuir agli artt. 110, comma 10 e 167, in materia di deducibilità dei costi relativi ad operazioni con paesi a fiscalità privilegiata e di tassazione per trasparenza di talune partecipate estere. Di non minor importanza, in caso di permanenza di Hong Kong nelle citate liste, è la presenza nella Convenzione di un articolo in tema di “Non Discrimination” (art. 23). E’ infatti da sottolineare la tesi, rafforzata da una recente giurisprudenza, secondo cui la presenza di una simile disposizione in una Convenzione porterebbe alla non applicazione dell’art. 110 Tuir.
Infine, in attesa di riscontrare tali effetti e nel caso in cui l’inclusione di Hong Kong fra i paesi della black list rendesse l’operatività dell’azienda troppo gravosa, va ricordata l’opportunità prevista dalla Shanghai Free Trade Zone (cfr. Newsletter di maggio), che presenta indiscussi benefici simili a quanto previsto in Hong Kong, senza gli oneri richiesti per ciò che il nostro ordinamento ancora considera “paradiso fiscale”.

(A cura dell’Ufficio di Shanghai – Avv. Luigi Zunarelli – Avv. Mattia Nannini – 00862151501952)

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