Il Tribunale di Lecce, in un procedimento di sequestro di nave da diporto, afferma che è l’immediatezza del pericolo a distinguere il rimorchio dal salvataggio.

Secondo la Corte leccese se il Comandante di uno yacht ha necessità di entrare in un porto ma, a causa delle dimensioni della barca e della conformazione dell’approdo, per consentire l’ingresso in porto è costretto a chiedere l’intervento di un rimorchiatore senza che, però, lo yacht si sia mai trovato in una situazione di imminente pericolo, il compenso dovuto è quello per il rimorchio e non per il salvataggio.

Questo l’antefatto: un motoveliero da diporto in corso di navigazione avverte dei problemi ai motori, prosegue a vela, ma decide per prudenza di entrare in un piccolo porto del sud della Puglia per riparare l’avaria. Poiché in quel porto non vi è un concessionario del servizio di rimorchio-manovra, il Comandante si rivolge alla locale Capitaneria, che cerca in prima battuta di effettuare essa stessa il rimorchio avvalendosi di una sua motovedetta, ma poi, date le dimensioni dell’elemento da rimorchiare, desiste e fa intervenire un peschereccio.

Il peschereccio traina il motoveliero all’interno del porto e successivamente ne chiede e ottiene in via d’urgenza il sequestro conservativo: l’armatore del peschereccio ritiene infatti di aver diritto ad un compenso per salvataggio e, dunque, ad un importo a cinque zeri. L’armatore del motoveliero è di opposto avviso: sa che il suo yacht non è mai stato in pericolo, rifiuta di riconoscere pretese a titolo di soccorso e – con il supporto dello Studio Zunarelli – si difende nel procedimento di sequestro chiedendo sia riconosciuto che se vi è debito, questo è per rimorchio e non per salvataggio e, dunque, tale debito non può eccedere alcune migliaia di euro.

Tra le molte questioni sottoposte all’apprezzamento del Giudice quella centrale consiste dunque nel valutare se l’intervento del motopeschereccio sia stato di salvataggio o di rimorchio.

Il Tribunale dà ragione all’armatore dello yacht e lo fa, come accennato, partendo dall’assunto che il salvataggio è caratterizzato dall’immediatezza del pericolo, ossia da una situazione di difficoltà non superabile con i propri mezzi che faccia supporre come ragionevolmente possibile il verificarsi di un sinistro, condizione assente in caso di rimorchio.

Quando, in altre parole, non sussistono situazioni di pericolo imminente per l’imbarcazione in difficoltà e l’operazione non prevede rischi si tratta, a giudizio del Tribunale leccese, di rimorchio.

Il Giudice nella propria decisione pone al riguardo l’accento sul fatto che la stessa relazione al codice della navigazione ha cura di precisare che si ha un’operazione eccedente quella normale di rimorchio quando la prestazione del rimorchiatore non sia limitata alla semplice trazione o, pur essendosi limitata a questo, abbia incontrato particolari difficoltà che non si verificano nelle operazioni di rimorchio.

Secondo il Tribunale nel caso di specie è dunque sufficientemente provata l’esistenza del rimorchio ma non anche del salvataggio e ciò in quanto lo yacht non si è mai trovato in una situazione di imminente pericolo (anche perché le condizioni del mare non erano particolarmente avverse), e il motopeschereccio non ha incontrato particolari difficoltà nell’effettuate il rimorchio, peraltro di particolare brevità (ossia poco più di un’ora).

La misura cautelare è stata dunque confermata ma a garanzia di un importo assai più contenuto rispetto alla pretesa dell’armatore del peschereccio e lo yacht, versata una modesta cauzione, ha ripreso il mare.

A cura dell’ Avv. Alberto Pasino – alberto.pasino@studiozunarelli.com

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