Il 19 maggio 2015 la Commissione Europea ha reso noto di avere avviato una procedura d’infrazione contro la Germania, avendole notificato una formale lettera per quanto riguarda l’applicazione della legge sul salario minimo per il settore dei trasporti.

La vicenda che raccontiamo si articola in tre fasi, con una quarta ancora tutta da scrivere.

  1. Tutto ha avuto inizio, quando, all’inizio del corrente anno, è stata promulgata in Germania – con evidente intento protezionistico per combattere il dumping sociale – una legge che stabilisce che tutti i lavoratori dipendenti debbano percepire un salario minimo di 8,5 € all’ora. Tale normativa ha avuto inevitabili ripercussioni anche per le imprese estere che operano all’interno del territorio tedesco, in particolare sugli operatori della logistica e dei trasporti che entrano in Germania per effettuare carico, scarico, cabotaggio, ma anche solo per mero transito; la legge ha imposto, infatti, il preventivo inoltro alle autorità locali (la Bundesfinanzdirektion West di Colonia, ovverosia l’Autorità Doganale) di una formale certificazione di pagamento nel rispetto del salario minimo, oltre che l’obbligo di fornire una serie di dati inerenti le operazioni di trasporto.
  2. Successivamente, il Ministero del Lavoro tedesco ha provveduto a sospendere l’applicazione della legge sul salario minimo nei confronti dei trasporti in transito attraverso la Germania. Le norme sul salario minimo hanno continuato ad essere vigenti per i trasporti internazionali con carico/scarico in Germania, nonché per i casi di cabotaggio sul territorio tedesco.
  3. All’esito di uno scambio di informazioni con le autorità tedesche e di una valutazione giuridica approfondita dell’impianto normativo tedesco, la CE, pur sostenendo, in linea generale, l’introduzione di un salario minimo in Germania, ha di recente ritenuto che l’applicazione di tale legge protezionistica sui trasporti che transitano nel territorio tedesco limiti in modo sproporzionato la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione delle merci. Nel proprio comunicato, la CE ha chiarito che l’applicazione di tali misure anti dumping previste dalla normativa tedesca sui trasporti internazionali non sia giustificata, in quanto crea ostacoli amministrativi sproporzionati che impediscono al mercato interno di funzionare correttamente. Viene tuttavia fatta salva dalla Commissione l’esigenza di salvaguardare la tutela sociale dei lavoratori e di garantire la concorrenza leale, pur consentendo la libera circolazione di beni e servizi.
  4.  La Germania avrà due mesi di tempo per replicare al richiamo.

Nell’attesa di conoscere l’epilogo della vicenda, sottraendoci da ogni pronostico in materia, è lecito svolgere alcune riflessioni di carattere giuridico.

La ratio protezionistica perseguita dal legislatore tedesco è stata, evidentemente, quella di osteggiare pratiche di cabotaggio, che alterano, in termini di competitività, il mercato tedesco, ma ha suscitato, sin dalla sua emissione, perplessità in merito alla paventata violazione dell’art. 56 del Trattato in cui si sancisce la libera prestazione dei servizi in ambito europeo.

La casistica giurisprudenziale già annovera un caso simile afferente proprio al diritto tedesco: il cd.  caso Bundesdruckerei, che riguardava una particolare ipotesi di restrizione della libera prestazione dei servizi in ambito di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. La controversia era sorta di recente a seguito di una specifica legge tedesca (del Land Renania Settentrionale-Vestfalia) la quale aveva stabilito la possibilità di aggiudicare appalti pubblici di servizi solo a imprese che, al momento della presentazione dell’offerta, si siano impegnate a versare al loro personale una retribuzione oraria minima di 8,62 euro. In tale contesto, la città di Dortmund aveva bandito una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico per la digitalizzazione di documenti e la conversione di dati per il suo servizio urbanistico. In applicazione di questa legge regionale, l’amministrazione di Dortmund aveva preteso, nel bando, di garantire questo salario minimo di 8,62 euro anche ai lavoratori impiegati da un subappaltatore stabilito in un altro Stato membro (la Polonia) di cui l’offerente intendeva avvalersi e che eseguivano l’appalto solo in quello Stato. Ebbene, in tale caso, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che in un appalto pubblico il rispetto del salario minimo non può varcare i confini nazionali nel caso in cui l’aggiudicatario si avvalga di un subappaltatore stabilito in un altro stato membro. Secondo la Corte Ue, infatti, una normativa come quella del Land tedesco comporta una restrizione alla libera prestazione dei servizi: infatti, l’imposizione di una retribuzione minima ai subappaltatori di un offerente stabiliti in un altro Stato Ue, in cui le tariffe salariali minime sono inferiori, costituisce un onere economico supplementare, atto ad impedire, ostacolare o rendere meno attraente l’esecuzione delle loro prestazioni in tale altro Stato membro.

Alla luce di tale precedente, gli scenari futuri in merito alla questione in esame sono tutt’altro che certi. Non resta dunque, per ora, che adattarsi alle nuovi misure (con le dovute cautele contrattuali, e con la dotazione di opportuni protocolli operativi), al fine di non incorrere nelle sanzioni per violazione della legge, che sono ricomprese in una forbice tra € 30.000,00 ed € 500.000.00.

A cura dell’Avv. Stefano Campogrande (stefano.campogrande@studiozunarelli.com)

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