Nel caso di contratto di lavoro stipulato a tempo indeterminato, le parti possono pattuire di inserire nel rapporto la cosiddetta “clausola di stabilità” con la quale entrambe (o anche solo una di esse) si impegnano, per un termine minimo stabilito, a non recedere dall’accordo sottoscritto.

Al di fuori delle ipotesi di giusta causa di recesso, nelle quali viene in rilievo la norma inderogabile di cui all’art. 2119 c.c., nessun limite è posto all’autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato. Pertanto il lavoratore ne può liberamente disporre pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto, purché limitata nel tempo, che comporti il risarcimento del danno in favore del datore di lavoro nell’ipotesi di mancato rispetto del periodo minimo di durata.

All’apposizione di tale clausola, inoltre, consegue la necessità che venga previsto un corrispettivo proporzionato (ex art. 36 Cost.) all’impegno che la parte vincolata assume. Nell’equilibrio delle posizioni contrattuali il corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell’interesse del datore di lavoro, dunque, è sì necessario, ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità assunto dalle medesime ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in un’obbligazione non-monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 14457/17).

(A cura della Sede di Milano – Avv. Marcello Giordani – 0239680538)

 

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