Recentemente la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata, con sentenza n. 902 del 16 gennaio 2013, su un interessante caso che ha preso avvio da due ricorsi, tra loro riuniti, proposti da parte di due società operanti nel settore marittimo-portuale, la Co. S.p.a. e la Eu. S.a.s., avverso la sentenza n. 714/2006 emessa dalla Corte d’Appello de L’Aquila.

In primo grado, le predette società – unitamente alla In. Ma. In., qualificata come armatore nel contratto di noleggio intercorso tra la Co. S.p.a. e la Eu. S.a.s. – erano state condannate al risarcimento dei danni ambientali causati dal versamento in mare di un ingente quantitativo di olio combustibile pesante, fuoriuscito durante le operazioni di carico effettuate sulla nave “Ma. St.” in prossimità di una piattaforma petrolifera al largo di Marina di Vasto.

Facendo applicazione dell’art. 21 della Legge n. 979/1982, “Disposizioni per la difesa del mare” – il quale prevede la responsabilità solidale del comandante della nave, del proprietario, ovvero dell’armatore della stessa –, ritenuto, altresì, che la Co. S.p.a., come pure la Eu. S.a.s. nonché la In. Ma. In., risultavano essere gli armatori della nave “Ma. St.”, il giudice di prime cure, con la sentenza n. 338/2003, aveva dichiarato le predette società obbligate in solido al pagamento dei danni, sia a titolo di costi sostenuti per la bonifica che a titolo di danno all’ambiente. In particolare, secondo il tribunale, le società convenute non potevano sottrarsi alla qualifica di armatore con la mera indicazione dei ruoli svolti nella vicenda senza provare in concreto la mancanza di disponibilità della nave “Ma. St.”.

In secondo grado, la decisione del tribunale veniva in sostanza confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila con conseguente rigetto dei motivi di impugnazione formulati dalla Co. S.p.a. e dalla Eu. S.a.s.. Nel dettaglio, la corte territoriale dichiarava che le norme di cui alla Convenzione di Bruxelles sulla responsabilità civile per danni da inquinamento da idrocarburi del 29 novembre 1969, in forza delle quali la responsabilità è canalizzata nei confronti del proprietario della nave, non potevano essere utilmente invocate nel caso de quo dal momento che le norme di una convenzione internazionale possono legittimamente prevalere su quelle dell’ordinamento interno se ed in quanto con esse incompatibili, e non anche se (come nel caso di specie) funzionali soltanto a rafforzare la tutela già apprestata dalle norme generali agli interessi lesi dall’illecita condotta del danneggiante (dovendo in tal caso trovare convergente applicazione entrambe le discipline, quella convenzionale e quella interna in materia di difesa del mare). Poiché, secondo la Corte d’Appello, la normativa convenzionale, nel canalizzare la responsabilità sul “proprietario”, non ne faceva in realtà un responsabile esclusivo, risultava legittima la predicabilità di una (cor)responsabilità anche di altri soggetti ove prevista da norme diverse (nella specie, l’art. 2050 c.c.), responsabilità non esclusa proprio dalla non incompatibilità della norma generale con i dicta della Convenzione.

La sentenza d’appello veniva impugnata, quindi, avanti alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, nel rigettare le doglianze formulate sia dalla Co. S.p.a. che dalla Eu. S.a.s., ribadito quanto già affermato dal giudice d’appello, ossia che la fonte della responsabilità da inquinamento marino non può ritenersi limitata al mero titolo formale di proprietà del natante, dovendo, la medesima, essere estesa a tutti i soggetti cui possa ricondursi, a vario titolo, l’attività di esercizio della nave stessa a fini economici, ha avuto modo di precisare che la pretesa limitazione della responsabilità in parola al solo proprietario, così come disposto dalla citata Convenzione, trova una espressa e significativa eccezione nel disposto dell’art. 21 della Legge n. 979/1982 che, come anticipato, estende al comandante e all’armatore, oltre che al proprietario, la responsabilità da inquinamento marino.

Per la Cassazione, se il citato art. 21 appare, quindi, idoneo a confermare la bontà dell’interpretazione che nega l’esclusività della responsabilità del solo proprietario della nave per lo scarico in mare di sostanze inquinanti, la medesima norma appare, di converso, priva di significato dimostrativo /limitativo (sia pur implicito) sul piano ricostruttivo del possibile novero dei soggetti destinatari di una responsabilità risarcitoria. La Corte ha escluso, dunque, la bontà della tesi della canalizzazione della responsabilità nella sola figura del proprietario della nave, confermando, al contrario, quella della sua “estensione a tutti i soggetti implicati non soltanto in un rapporto proprietario o nella concreta esecuzione dell’attività materiale, ma anche di quelli a vario titolo coinvolti nella gestione dell’attività di navigazione” così come esercitata nella specie. Secondo la Suprema Corte, infatti, “non può seriamente dubitarsi che l’inquinamento del mare, causato dal deposito degli idrocarburi nel fondo della nave […], sia nella specie riconducibile a tutti i soggetti che hanno consentito ovvero eseguito tale viaggio a vario titolo, tutti i soggetti, cioè, cui appaia legittimamente riconducibile l’attività di “messa in mare” di una nave pericolosa per il carico di idrocarburi custoditi nella cisterna poi incautamente svuotata in mare”. I giudici della Corte di Cassazione hanno affermato, pertanto, il seguente, rilevante principio di diritto, ossia quello per cui le norme speciali (nel caso di specie, quelle di cui alla citata Legge n. 979/1982 e quelle contenute nella Convenzione di Bruxelles del 19.11.1969) non incompatibili con quelle di carattere generale – norme volte, oltretutto, a tutelare, nella specie, beni a copertura costituzionale quali l’ambiente -, si pongono non in un rapporto verticale di incompatibilità, bensì in una relazione orizzontale di complementarietà con la disciplina di diritto comune (nel caso de quo, le norme in materia di responsabilità per l’esercizio di attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c.). Ne deriva che è legittimamente predicabile una responsabilità estesa, oltre che al proprietario ed all’armatore, anche al noleggiatore della nave, a sua volta destinatario, pertanto, dell’obbligo di vigilare ed attivarsi affinché le operazioni relative alla navigazione (nella specie, l’allibo) avvengano nel rispetto non soltanto delle norme specificamente applicabili nel sottosettore normativo di competenza, ma anche delle specifiche regole di diligenza, prudenza e perizia imposte dalla pericolosità delle relativa attività, se configurabile (come nella specie) un’attività pericolosa collegata all’esercizio della navigazione.

(A cura dell’Ufficio di Bologna – 051 2750020)

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