Si è concluso positivamente il processo a carico del tecnico comunale, nonché dei rappresentanti legali di una società (assistiti dagli Avv.ti Franco Fiorenza e Federica Fantuzzi, del nostro Studio), imputati per i reati di abuso edilizio, abuso paesaggistico, abuso d’ufficio, per avere in due diverse occasioni apposto opere stagionali prima su area demaniale, e poi su spiaggia privata, in assenza dell’autorizzazione edilizia e dell’autorizzazione paesaggistica. La pubblica accusa si era spinta a ritenere sussistente in capo ai privati, e in capo al pubblico funzionario comunale, altresì il grave delitto di abuso d’ufficio. Secondo la Procura la concessione di un’autorizzazione in precario ai sensi dell’art. 20 della L.R. 19/2009, contrastante con le disposizione vigenti del Testo Unico dell’edilizia e del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sarebbe stato sufficiente a configurare la fattispecie di abuso d’ufficio. Il Tribunale di Gorizia ha, per converso, ritenuto che l’istruttoria dibattimentale, nonché la produzione documentale, abbia dimostrato l’assenza sia dell’elemento soggettivo del dolo, necessario per poter configurare la responsabilità penale per il contestato delitto di abuso paesaggistico, di cui all’art. 181, co. I-bis, d.lgs. 42/2004 e di abuso d’ufficio, sia quello della colpa per l’abuso edilizio. Le testimonianze assunte in giudizio hanno infatti dimostrato che l’imputato si era costantemente interfacciato con il comune, onde capire di quali autorizzazioni necessitasse per poter posizionare le opere stagionali, ed ancora è emerso che era prassi del comune permettere l’apposizione delle opere stagionali in assenza di autorizzazione paesaggistica ed edilizia. L’ufficio infatti aveva, più volte negli anni, concesso di collocare opere stagionali con la sola autorizzazione in precario, in presenza di comprovate esigenze transitorie. Dall’esame dei documenti prodotti dalla stessa pubblica accusa, è altresì emerso che nella stessa autorizzazione in precario si prevedeva, espressamente, che non fosse necessaria la preventiva autorizzazione paesaggistica.

L’insieme di queste considerazione ha persuaso il Collegio che nessun rimprovero potesse essere mosso ai privati, i quali si erano sempre comportati con la diligenza loro richiesta, affidandosi persino alla professionalità di un tecnico che li adiuvasse nella predisposizione dei progetti necessari per l’utilizzo delle aree interessate. Il collegio ha altresì escluso la possibilità di configurare la fattispecie delittuosa di abuso d’ufficio, sia in capo ai privati che in capo al pubblico funzionario: non avendo l’accusa conseguito alcuna prova, neppure indiziaria, della sussistenza del dolo intenzionale. La Procura, infatti, avrebbe dovuto provare che lo scopo primario e precipuo del funzionario comunale fosse quello di avvantaggiare il privato, ed ancora che vi fosse tra il privato e l’intraneus una collusione, un accordo criminoso.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere sussistente il concorso del privato nel reato proprio di abuso d’ufficio, solo qualora i rapporti fra le parti e il contesto fattuale dimostrino tale accordo. Non basta la mera coincidenza fra la richiesta del privato e l’autorizzazione concessa dal pubblico ufficiale in violazione di legge.

Non ogni violazione di legge è di per sé abuso d’ufficio, dal momento che altrimenti il processo penale si rivelerebbe un ulteriore grado di giurisdizione amministrativa.

Singolare, e un po’ amaro, che l’innocenza degli imputati sia stata accertata solo dopo un lungo processo innanzi al Collegio. Poteva forse tutto concludersi già in uno stadio precedente?

A cura dell’Ufficio di Trieste – Avv. Federica Fantuzzi (040 7600281)

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