Con Il T.A.R. del Lazio, con l’ordinanza 6 giugno 2014, n. 2563, ha sospeso l’efficacia del D.M. con il quale le prove scritte dell’attuale concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria sono state fissate in tre giorni consecutivi (25, 26 e 27 giugno scorsi), senza valutare la richiesta proveniente da una persona diversamente abile che aveva dimostrato di essere impossibilitato a sostenere le prescritte prove in un arco temporale pari ai previsti tre giorni consecutivi, dovendo sottoporsi a trattamenti incompatibili con una tale scansione temporale delle prove medesime.
Dal punto di vista processuale va premesso che il Consiglio di Stato ha successivamente superato il provvedimento del T.A.R., consentendo lo svolgimento delle prove in magistratura nelle giornate originariamente individuate dal Decreto ministeriale del 30 ottobre 2013, tuttavia la decisione adottata in sede cautelare dal primo Giudice ha una portata che non può che essere definita storica.
Il T.A.R. del Lazio ha riconosciuto all’art. 16 della legge 12 marzo 1999, n. 68, laddove prevede che ai diversamente abili debba essere garantita la possibilità di partecipazione a tutti i concorsi per il pubblico impiego in condizioni di parità con tutti gli altri concorrenti mediante la previsione di speciali modalità di svolgimento di prove di esame, il rango di norma primaria, in grado di individuare un interesse pubblico prioritario e prevalente.
Secondo il citato Giudice “non sembra … che la scelta dell’Amministrazione, di articolazione dello svolgimento delle prove scritte in tre giorni continuativi, risponda ad esigenze indefettibili di garanzia dell’anonimato e del buon andamento della procedura, sotto i profili della trasparenza, linearità e selezione dei migliori”, ed egualmente non meritano, sempre a giudizio del T.A.R., accoglimento le tesi della difesa erariale che “si è limitata ad addurre ragioni giustificatrici della scelta predetta, connesse a profili di spesa o di organizzazione del lavoro degli addetti alla procedura concorsuale … che devono considerarsi recessive rispetto alla primaria esigenza di garanzia della possibilità di accesso del ricorrente alle prove scritte in parità con gli altri concorrenti”.
L’importanza della decisione cautelare del T.A.R del Lazio deve essere ravvisata nella nuova sensibilità giudiziale per l’attuazione di condizioni di eguaglianza sostanziale nell’accesso all’ordine giudiziario non veicolata a logiche di “riserva dei posti messi a concorso”.
Un assunto che dimostra il superamento della concezione alla base della vecchia disciplina del collocamento obbligatorio delle persone diversamente abili contenuto nella l. n. 482 del 1968, attenta alle quote e ai servizi di accesso mirato all’impiego, in favore di una nuova concezione orientata, anche attraverso il veicolo rappresentato dalla nuova disciplina sull’avviamento al lavoro dei disabili di cui alla l. n. 68/99, ad una lettura precettiva dell’art. 4 della Cost., a mente del quale “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
In attesa, dunque, della discussione del ricorso pendente, fissata nell’ordinanza del T.A.R. del Lazio per il prossimo 23 ottobre, è auspicabile che il legislatore individui, in relazione ad ogni concorso pubblico, quote di riserva di assunzione a favore delle persone diversamente abili, individuando le modalità concrete per la realizzazione del precetto costituzionale citato.
(A cura dello Studio di Roma – Avv. Antonio Salamone – 06 68210067)

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