La Corte d’Appello di Bologna ha recentemente definito un contenzioso sorto a seguito di un sinistro mortale occorso a un velivolo, ai danni di un passeggero e del pilota che erano a bordo: Il contenzioso verteva, in particolare,in tema di corresponsione di indennizzo reclamato dagli eredi delle vittime nei confronti della Assicurazione dell’Aeroclub, assistita dallo Studio.
La decisione (sent. n. 2098del 7 ottobre 2014) è probabilmente la più recente pronuncia esistente, in materia, nella casistica giurisprudenziale nazionale.
Si tratta di pronuncia che rileva sotto un duplice ordine di profili: il primo, più prettamente trasportistico, riguarda la dibattuta questione della configurabilità dell’esercente l’aeromobile in capo all’Aeroclub ai sensi dell’art. 874 ss cod. nav. (da cui deriva la responsabilità risarcitoria dell’ente per fatti lesivi commessi dai propri soci piloti); il secondo, di natura più squisitamente civilistica, attiene alla individuazione dei danni risarcibili a favore degli eredi del passeggero defunto, sia iure proprio che iure hereditatis.
Con riferimento all’assunzione dell’esercizio della navigazione aerea è pacificocome la stessa presupponga la sussistenza di un’attività organizzata volta all’impiego del mezzo ed al soddisfacimento di esigenze proprie del soggetto agente; ai fini della qualifica di esercente, infatti, non è sufficiente il fatto tecnico della navigazione in senso stretto (cioè la materiale conduzione del velivolo), occorrendo l’ulteriore momento dell’attività di organizzazione e di direzione nell’ambito della quale l’uso del mezzo
s’inserisce. In tale prospettiva, deve escludersi la qualifica i esercente in capo all’utente temporaneo, a meno che lo stesso non pratichi l’attività di volo al di fuori dell’attività organizzativa dell’Aeroclub stesso e decida di assumere la guida dell’apparecchio al fine di soddisfare esigenze del tutto personali ed estranee
al perseguimento degli scopi istituzionali propri dellastruttura formativa di appartenenza.
In tale seconda ipotesi, infatti, si configura una scissione tra l’assunzione e l’attuazione dell’esercizio della navigazione, con la conseguenza che la navigazione in senso tecnico del mezzo non è destinata a produrre effetti nella sfera di responsabilità dell’Aeroclub.
Sulla scia di una giurisprudenza già formatasi in materia, i Giudici bolognesi hanno ritenuto che in forza del rapporto di preposizione tra il socio pilota e il suo aeroclub di appartenenza, la qualità di esercente viene conservata in capo all’aeroclub e non passa al pilota, a nulla valendo l’uso momentaneo del mezzo da parte di quest’ultimo, la cui figura viene così equiparata a quella del comandante o dell’addetto al servizio. A tal riguardo la Corte felsinea ha statuito che “l’affidamento di un aeromobile da parte di un Aeroclub ad un suo socio per un breve volo di diporto trova la sua causa nel rapporto associativo, in virtù del quale il socio pilota ha il diritto di partecipare alle attività turistiche, sportive e didattiche nel campo aeronautico, previsto dallo Statuto degli Aeroclub (DPR 7 novembre 1957 n. 1438). L’uso momentaneo, quindi, non dà luogo al trasferimento del possesso e dell’esercizio dell’aeromobile al socio, ma la qualità di esercente viene conservata dall’Aeroclub e si realizza in un rapporto di preposizione, in forza del quale il socio pilota, preposto alla guida, viene a trovarsi in una posizione equiparabile a quella del comandante o dell’addetto al servizio in volo (art. 895 cod. nav.)”. In tale prospettiva è stata dunque confermata dalla Corte d’Appello di Bologna la responsabilità indiretta dell’Aeroclub e la conseguente ammissibilità della domanda degli attori reclamanti ad ottenere l’indennizzo assicurativo, in forza dell’azione diretta che la normativa di settore prevede proprio in questa peculiare ipotesi (art. 22, DPR 5 agosto 1988 n. 404).
Per quanto concerne la condotta del pilota, i Giudici di secondo grado hanno inoltre ritenuto che la stessa fosse stata connotata da colpa grave, risultando, dalle perizie espletate in sede penale, che il pilota, nel sorvolare l’abitazione di amici, “diminuì la quota per rendersi visibile da terra” e “nel compiere tale manovra, colpì i cavi di un elettrodotto, posti all’altezza di circa 20 mt. L’urto causò la rottura dei cavi elettrici, gravi danni alla semiala e al montante di destra del-l’ultraleggero e la caduta al suolo dello stesso con assetto molto picchiato e ad elevata velocità”. Si è dunque ritenuto che il pilota avesse violato numerose regole previste in materia di volo da diporto e che non potesse quindi mettersi in dubbio la configurabilità di una sua condotta gravemen-te colposa.Ciò ha superato ogni questione inerente l’applicabilità, ai trasporti amichevoli, dell’art. 414 cod. nav., ai sensi del quale la colpa grave o il dolo devono essere oggetto di specifica prova. Quanto ai profili risar-citori, la Corte di Appello, rigettando le richieste attrici di una liquidazione maggiore rispetto a quella già accertata in primo grado, ha così con-fermato l’orientamento più volte espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui “il danno non patrimoniale, an-che nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allega-to e provato da chi lo invo-ca” (ex multis Cass. civ. 13/05/2011, n. 10527).
I Il Collegio ha quindi osser-vato che gli attori appellanti non avevano fornito alcun elemento idoneo a “personalizzare la valutazione del dolore sofferto per la perdita del congiunto” ma, al contrario, si erano limitati a lamentare esclusivamente una liqui-dazione inferiore al valore medio previsto dalla tabel-la di Milano, senza tuttavia giustificarne uno scosta-mento.

A cura dell’Avv. Stefano Campogrande (stefano.campogrande@studiozunarelli.com)

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