A seguito della oramai ben nota sentenza della Corte di Giustizia (cfr nostra newsletter di ottobre 2014), il sistema dei costi minimi di sicurezza così come delineato dell’art. 83bis comma 8, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 era atteso all’ulteriore vaglio della Corte Costituzionale.

La Consulta, in data 13 maggio 2015, ha depositato l’Ordinanza n. 80/2015 con la quale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate ed ha disposto la restituzione degli atti ai Tribunali remittenti di Lucca e di Trento (per l’analisi degli specifici quesiti sottoposti al vaglio della Corte Costituzionale vedasi nostra newsletter di marzo 2013). Quali sono le regioni giuridiche che sottendono a tale decisione e, soprattutto, quali saranno le conseguenze pratiche per vettori e committenti?

Nell’ordinanza della Corte Costituzionale si legge che “con riferimento alle censure prospettate da entrambi i giudici a quibus in ordine alla determinazione del corrispettivo del contratto di trasporto, occorre rilevare che, successivamente alle ordinanze di rimessione, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza 4 settembre 2014 (cause riunite da C‑184/13 a C‑187/13, C‑194/13, C‑195/13 e C‑208/13), ha affermato che «l’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati»”. Conseguentemente la Consulta ritiene che tale pronuncia, unitamente alla legge di Stabilità che ha abrogato i costi minimi di sicurezza a decorrere dal 1 gennaio 2015, consentirebbero di configurare uno jus superveniens potenzialmente idoneo ad incidere sulle vicende sottoposte al vaglio dei Tribunali di Lucca e Trento. Per tali ragioni si è, quindi, concluso che “spetta ai rimettenti valutare l’incidenza della pronuncia della Corte di giustizia nonché delle modifiche normative sopravvenute sulla decisione del giudizio sottoposto al loro esame e sulla persistente rilevanza della questione di legittimità costituzionale”.

Ciò chiarito circa il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte, occorre aggiungere che, dal punto di vista pratico, nulla cambia, a questo punto, rispetto allo scenario che si era reso configurabile successivamente alla pronuncia della Corte di Giustizia. Nel richiamare in proposito a quanto più ampiamente illustrato nella newsletter di ottobre 2014, si reputa che le due possibili conclusioni cui i singoli giudici di merito potrebbero pervenire a conclusione delle vertenze tariffarie tutt’ora pendenti sono:

  1. a) quella secondo cui la Corte di Giustizia ha concluso per la non compatibilità con l’ordinamento comunitario dei soli costi minimi di sicurezza determinati dall’Osservatorio;
  2. b) quella secondo cui dal tenore della sentenza della Corte di Giustizia sarebbe possibile desumere l’incompatibilità con l’orientamento comunitario dell’intero sistema dei costi minimi di sicurezza, a prescindere da quale sia il soggetto (Osservatorio o Ministero) che abbia determinato i costi minimi relativi al periodo temporale oggetto del contenzioso che dovrà essere definito con sentenza.

In sostanza, quindi, anche a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale, i vari giudici nazionali avanti ai quali pendono procedimenti per il riconoscimento dei costi minimi di sicurezza determinati dal Ministero potranno, caso per caso, decidere se applicare o disapplicare la norma.

(A cura dell’Ufficio di Bologna – Prof. Avv. Massimo Campailla – 051 2750020)

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